Nel progettare il Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah abbiamo cercato un’idea che permettesse di evitare l’accostamento tra ebraismo e carcere e abbiamo scelto di costruire una Sukkah\Capanna nella quale i visitatori verranno accolti al loro ingresso nel Museo.
“Che la Tua volontà faccia dimorare tra noi la Tua Presenza e stenda su di noi la Sukkah della Tua pace” è la benedizione che si recita entrando nella capanna durante la festa autunnale di Sukkot. Abitare in una capanna significa ricordare la precarietà della nostra condizione umana, ma il dimorarvi deve essere piacevole e accogliente. Il tetto di una Sukkah deve dare più ombra che luce, deve far passare la pioggia, non deve impedire di vedere le stelle di notte.
Chi entra nella Sukkah del MEIS scoprirà un po’ alla volta le luci, i colori, i profumi, i suoni dell’Ebraismo, imparerà a conoscere la storia e la cultura degli Ebrei presenti da duemila anni in Y Tal Yah, nell’isola della rugiada divina. (Prof. Morselli)
With: 3ti italia, Ferrini::Stella:;n!studio, Architettura&Restauro, Stefano Piazzi, Luigi Tundo, Silvia Morselli, Gabriele Misso.
PROGRAM: Museum |
LOCATION: Ferrara |
DATE: September 2010 |
CLIENT: MiBAC – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna |
BUDGET: 30.000.000,00 € |
AREA: 8.000 m2 |
STATUS: – |
FEATURED IN: – |
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Dalla relazione:
Percorrendo Via Rampari di San Paolo, un senso di precarietà tipico di ogni sukkha, anticipa il nuovo Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoha. Un cambio di funzione e di significato restituisce alla città di Ferrara il nuovo lotto; colori, luci e volumi sono i protagonisti della nuova conformazione.
Il visitatore che avrà voglia di percorrere le stanze del MEIS, verrà guidato in un mondo di conoscenza e di interazione; una passeggiata che racconta la storia dell’ebraismo dal passato ad oggi fino a scoprire strati più intimi all’interno di coni espositivi dedicati.
Quel senso di precarietà che incide sul panorama della città di Ferrara verrà assorbito e calibrato da i numerosi visitatori che attraverseranno la soglia del nuovo museo. Un sistema di pixel riveste le facciate interne della capanna variando il proprio aspetto in funzione della densità presente all’interno del museo. Anche un singolo visitatore è capace di far percepire la propria esistenza alla città di Ferrara. Una continua diatriba tra ombre e luci inonda l’interno della hall, al variare della vita interna del museo, varia la densità di luce naturale filtrata dai pixel.
Assecondando la spazialità interna del volume d’ingresso, il visitatore verrà condotto in un percorso fatto di rampe espositive nella quale una prima introduzione sulla storia dell’ebraismo farà da preambolo a successive fasi dell’allestimento. Questo inizio lascia chiaramente intendere che, le sale espositive del Meis non abbandonano mai il rapporto che lega la conoscenza in termini di ebraismo, con l’idea cardine di progetto; un filo continuo che unisce ogni spazio espositivo ad una successione temporale.
La variazione di colore restituito dalla facciata nel volume d’ingresso, è un altro tema espresso in questo progetto; Anche nel colore come nel percorso espositivo e possibile raccontare un brano della storia dell’ebraismo. Infatti il variare del colore nella facciata, costituita da pannelli in policarbonato, esalta quell’aspetto che da secoli appartiene al mondo ebraico: il termine varietà descrive secoli di storia.
La rampa così progettata raccorda in quota il nuovo prospetto (su via Rampari di San Paolo) con il preesistente edifico C dell’ex carcere. Un volume rigato percorre l’intero edificio consentendo la visione dall’alto di parte dell’allestimento, un ballatoio sospeso in quota che riga la prospettiva dello spazio preesistente senza alterarne le peculiarità architettoniche. Giunti al termine dell’edificio C arriviamo nel cuore del museo. Un piccolo tunnel, prosegue il precedente percorso garantendo un passaggio lineare in continuità con l’interno fino a raggiungere il cuore dell’allestimento racchiuso nell’edifico B. Lasciato l’edificio C avvertiamo la presenza di uno spazio profondamente avvolgente costituito da superfici continue che guidano l’occhio del visitatore in spazi sempre più intimi. Il volume B racconta se stesso per mezzo di continue astrazioni che permettono una visione molteplice della storia dell’ebraismo. I temi affrontati in questo ambito sono sviluppati in modo da rendere chiara la volontà del progetto di esprimere al meglio le proprie idee di allestimento. Un primo tema è in termini di lettura tridimensionale, infatti il sistema espositivo racconta se stesso prevedendo una duplice interpretazione del volume in termini di lettura verticale di spazi a tripla altezza (unione cielo terra), e orizzontale per mezzo di pannelli espositivi che prolungano la linea continua proveniente dall’ingresso. Osservando il volume dall’alto una serie di eventi prodotti da operazioni geometriche di sottrazione di materia anticipa significati intimi racchiusi all’interno dei coni espositivi. Come un testo antico eroso dal tempo, così il nostro progetto viene scavato da volumi che attraversano per intero i due piani di allestimento permanente. La lettura dei coni espositivi verticale permette al visitatore di avvicinarsi ad alcuni temi legati all’ebraismo dal di fuori, come se si dovesse osservare dall’esterno qualcosa. I coni espositivi sono concentrazioni intime dell’ebraismo, che separano l’interno del museo in maniera progressiva e graduale come un libro che svela lentamente i propri segreti: non si può entrare all’interno dei coni senza passare attraverso una conoscenza più generale della storia dell’ebraismo. I cinque coni rappresentano le comunità ebraiche in Italia di cui: due saranno dedicate a quelle di Roma e Venezia, le restanti tre a rotazione accoglieranno le rimanenti comunità.
La presenza dei cinque coni si avverte anche dalla città di Ferrara grazie al loro accostamento in prossimità del limite esterno dell’edificio. La storia dell’ebraismo viene raccontata attraverso processi tattili e sensoriali, come nel caso della sinagoga, anch’essa ospite in uno dei coni, mostra i propri segreti grazie a pannelli interattivi che legano la conoscenza ad una precisa pressione su schermi a tutt’altezza.
Nella sommità dell’edificio troviamo un roofgarden con bar e un museo per bambini entrambi con accesso indipendente dall’utilizzo del museo. Il ruolo del museo resta senza dubbio un modo per ampliare la conoscenza dell’ebraismo nel mondo partendo proprio da quelle attività che facilitano il rapporto con alcune delle più comuni tradizioni ebraiche, infatti all’interno dello stesso sono previste alcuni laboratori per l’apprendimento della cucina kasher. La sommità dell’edifico B non fa altro che costituire la chiusura orizzontale e verticale di un racconto generato da volumi racchiusi da involucri comunicativi.
Ripercorrendo l’edificio B dall’alto verso il basso raggiungiamo alcune funzioni a diretto contatto con l’esterno: l’esposizione temporanea adiacente all’auditorium garantiscono un continuo utilizzo anche in orari notturni, grazie ad ingressi indipendenti. Il volume dell’edificio B visto dall’esterno sembra magicamente appoggiato alle suddette funzioni; l’idea di sospendere i due livelli dell’esposizione permanente esalta ancora di più i coni espositivi che non toccano il solaio di calpestio ma lasciano la propria traccia esaltando visioni inaspettate. La purezza e la stereometria del volume sono sottolineate da un involucro opalino ultimo livello di una serie progressiva di fogli e racconti, lettere dell’alfabeto ebraico lasciano la propria traccia su di esso avvolgendo segreti avventure e storie di una cultura millenaria.